Un'infilata di onesti accidenti

come l'ombra di un leccio portasse a morte uno studente di Magonza
e la sproporzione polverizzasse un Re


€ 10.00
Autore: Pee Gee Daniel
pp. 80
ISBN  978-88-906775-3-3




In un rarefatto passato, incroci beffardi di casi tribolano sfaccendati, valvassori, funzionari e Re; senza -si capisce- trascurare osti, artisti, passanti e zotici. La macchina febbrile dello scompiglio mai si riposa. “La vita danza sui piedi del caso”, sentenziò una volta un noto malato di nervi. Dacché piccoli insetti pensanti presero a brulicare nel mondo, costruendovi complicati alveari, si aprì fatale partita con le possibilità. Due piccoli, amabili contes sur le desordre, scritti con humour illuministico e divertito linguaggio barocco. Con una morale: guai a non tenere nel debito conto i dettagli: dall’ombra di un leccio all’andatura di un naso.

Mettere insieme, in soli anni 40, sette mestieri, due figli, una laurea in filosofia e otto libri, non è esattamente una roba ordinaria. Torinese, figlio di industriali del settore dolciario, Pier Luigi Straneo (in arte Pee Gee Daniel) è stato, nell’ordine, magazziniere, impiegato, aiuto-camionista, poliziotto, direttore di sale-giochi, bibliotecario, barista, e, per finire, “libero scrittore” con base in Alessandria. Ha pubblicato i romanzi, Gigi il bastardo (& le sue 5 morti), Montag, 2012; Phenomenorama, Inbooki, 2013; Il politico, Golena, 2014; Lo scommettitore, Leucotea, 2014; Ingrid e Riccione, La Gru, 2014; Sulle tracce della Ci**gna Voltaica, Twins, 2015; Il lungo sentiero dai mattoni dorati, e-piGraphe, 2015; e il saggio, Il riso e il comico. Un excursus filosofico, Montag, 2014. Collaboratore di periodici letterari e filosofici, per non farsi mancare nulla, ha pure trovato il tempo per scrivere libretti musicali e curare allestimenti teatrali.

 


 

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COMMENTI

PAOLA MURRU  1766

Inconsueto e divertente impasto di storie lontane, che sanno d' infanzia, di fiaba e leggenda, di magia e realtà. Lo studentello di Magonza, alias Messer Bengentili, e il re Bucamela si ritagliano entrambi un ruolo da protagonisti. Il primo senza averne alcun “merito”, il secondo, alla disperata ricerca di un altro se stesso, in grado di eguagliarne la regalità, e destinato a oltrepassare i limiti imposti dal Tempo. Ribaltamenti espressivi, canoni artatamente rovesciati, richiami e riecheggiamenti- dai fratelli Grimm a 'Dorian Grey'- caratterizzano i due plots narrativi, adatti a soddisfare gli appetiti di adulti e bambini. Lettura consigliata. Eccone una sintesi: L’avvio del primo racconto conduce il lettore ‘avveduto’ nel bel mezzo del paese di Piccoloborgo, dove il popolo tutto, abbagliato dalla prospettiva di lauti e sostanziosi guadagni, si appresta ad accogliere il funzionario imperiale incaricato di valutarne ‘le capacità ricettive’ per l’istituenda nuova provincia. Di fatto, ad informare gli abitanti circa l’imminente visita e il protocollo da seguire è un paffuto e poco arguto messo che, ci viene spiegato attraverso una copiosa analessi, ricevuto l’incarico dal ‘potente di turno’, durante il tragitto verso il villaggio, pensa bene di fare una sosta all’ombra di un frondoso leccio e di dar fondo a tutte le provviste, più che generosamente, condotte con sé. E fin qui niente di straordinario, sennonché l’araldo, per superficialità e leggerezza, al termine del ‘francescano spuntino’, ha la malaugurata idea di detergere la sua prodigiosa ‘canna’ con il rotolo di pergamena contenente le indicazioni destinate ai piccoloborghigiani, cancellando o meglio rendendo impossibile la lettura del vero messaggio. Costretto pertanto, lì per lì, a ricostruirne il contenuto, davanti all’assemblea popolare, l’araldo commette un’infilata di errori che rappresentano il perno sul quale ruota, a partire da questo momento, tutta la vicenda. Solo grazie all’intervento del narratore, capace di spingere il suo acuto sguardo oltre le macchie di unto del papiro, riusciamo a comprendere in quale plautino equivoco cadano gli abitanti di Piccoloborgo, che scambiano un avventuroso e squattrinato studentello, messer Bengentili , per il funzionario imperiale, ser Chevergogna... La galleria di nomi di protagonisti e comparse caratterizza singolarmente il tono del secondo racconto, particolarmente ricco di iperboli e simmetrie contrastive. Giunto a un’età né troppo precoce né tanto avanzata, il re Bucamela commissiona il suo ritratto ufficiale, in sella al destriero Setteleghe, al più illustre pittore del tempo, Gianarcangelo da Pineto. Il dipinto dovrà richiamare nei sudditi l’immagine della sua magnanimità e lungimiranza. A opera conclusa, affatto soddisfatto del risultato, pur riconoscendone la perfezione tecnica, Bucamela congeda il ritrattista - divenuto nel frattempo oggetto delle beffe del giullare Nespà - ma non abbandona il progetto di consegnare agli abitanti del regno e a quelli che ‘naturalmente’ ne prenderebbero il posto, un’eloquente e imponente immagine di sé. Ecco dunque, il motivo per il quale si rivolge, dopo attenta e meditata riflessione, al bizzarro scultore Schiapparape, convinto ormai com’è che solo una statua possa degnamente rappresentarlo perché più adatta alla ‘propaganda’. La professionalità del ‘lapicida’ e le sue straordinarie performances sono note all’universo mondo e… ciò basta per convincerlo a richiederne le prestazioni, non importa se, per far giungere dalle colonie (il re era anche imperatore) il marmo purissimo preteso da Schiapparape, si debba far abbattere foreste e sventrare montagne. Non c’è impatto sostenibile che tenga; Bucamela vuole a tutti i costi la sua preziosa statua e l’artista la sua materia prima dalla solidità e lucentezza metafisiche… Quando, infine, ‘l’ottava meraviglia’ sembra aver preso definitivamente forma, del tutto inaspettato interviene un onestissimo accidente di nome Tavièn…